Non è più possibile parlare di sostenibilità utilizzando verbi al futuro. se fino a oggi è stato fatto, le nuove regolamentazioni europee da poco entrate in vigore, e le molte altre attualmente in cantiere, costringono il tessuto imprenditoriale a impegnarsi con sempre più attenzione. È tempo di passare dal pensiero all'azione.
Si è discusso ancora una volta di sostenibilità, e in particolare di tracciabilità, durante la 98esima edizione di Expo Riva Schuh & Gardabags, in un Talk che ha radunato importanti esponenti del settore che proprio su questi temi lavorano da tempo.
Deborah Taylor, managing director di Sustainable Leather Foundation e consulente per l’Europa della Commissione Economica delle Nazioni Unite, nonché già direttrice per 5 anni del Leather Working Group. Massimo Brandellero, fondatore e CEO di The ID Factory, piattaforma collaborativa che grazie alla creazione di ID digitali mappa l'intera catena di fornitura attraverso una soluzione collaborativa dedicata a tutta la filiera. Manfred Junkert, managing director della Federal Association of the German Footwear and Leather Goods Industry.
A tema le nuove normative europee dedicate ai temi di sostenibilità e tracciabilità già recepite da Francia e Germania: come cambiano il panorama produttivo europeo e quali prospettive si dischiudono per il mondo della produzione?
LE TAPPE DELLA SOSTENIBILITÀ E DELLA TRACCIABILITÀ
Il tema della tracciabilità è il primo punto cruciale da mettere a fuoco se si vuole agire in modo sostenibile, secondo Massimo Brandellero.
«Dieci anni fa quando le prime importanti associazioni ambientaliste protestarono e portarono i temi della sostenibilità all'attenzione di tutti, i marchi cominciarono a indagare la propria catena di fornitura rendendosi conto che non sarebbe stato facile ottenere informazioni e trasparenza. La filiera moda, del resto, non è affatto costruita per svelare i propri segreti, anzi è strutturata per preservare e nascondere il proprio saper fare, perché proprio in quelle tecniche, abilità e conoscenze si situa il massimo del valore aggiunto di un prodotto manifatturiero».
Da quel momento in poi, però, tutto è cambiato, sostiene Brandellero. Tutto quello che prima si riteneva di dover mantenere segreto, diveniva necessario condividerlo e indagarlo per essere certi del valore dei propri fornitori e quindi dei prodotti. Ma fino al 2018 non si assiste a grandi cambiamenti. È dall'anno successivo che qualcosa inizia a mutare, perché le richieste del mercato si fanno tangibili e insistenti (anche se ancora nulla si muove a livello legislativo). Se i marchi si erano concentrati sul tema della Corporate Social Responsability, da quel momento una nuova area di interesse inizia a emergere e riguarda il mondo dei materiali che va a coinvolgere l'intera catena di fornitura. «Ci si è accorti – prosegue Massimo Brandellero - che proprio la catena del valore genera il 90% dell'impatto ambientale, sociale e finanziario di un prodotto. Da questa considerazione ne è derivata la centralità della tracciabilità della filiera a monte di qualsivoglia approccio sostenibile. Ogni aspetto della sostenibilità e ogni area tematica non può prescindere da una filiera trasparente e tracciata, fondata su dati qualitativi e verificati».
Oggi, per la prima volta dopo dieci anni dai primi movimenti di protesta per mancanza di sostenibilità nella moda, si nota un cambiamento di approccio al tema: un cambiamento di mentalità. Se prima la sostenibilità rappresentava solo un valore chiave di cui parlare, oggi significa metriche, progetti a lungo termine che tengono conto della complessità e delle svariate sfaccettature che implica. Da un paio d'anni il settore ha preso consapevolezza del fatto che il tema è parte integrante del flusso di lavoro di un’azienda e i dipartimenti dedicati iniziano a incidere concretamente sui flussi produttivi.
ORA SI MUOVE ANCHE IL LEGISLATORE
È Manfred Junkert a introdurre il tema della nuova legislazione europea che la Germania ha già adottato. La Due Diligence Law tedesca viene da lontano: il suo iter prende il via intorno al 2011 grazie ad alcuni colloqui avviati con le Nazioni Unite riguardanti il rispetto dei Diritti Umani; nel 2016 la Germania si dota di un piano d’azione nazionale con l’intento di compiere azioni concrete a livello di catene di fornitura; nel 2021 il progetto di legge viene ratificato per diventare attuativo dal primo gennaio 2023. «La legge prevede che progressivamente le aziende si dotino di un sistema per la Gestione dei Rischi, sia ambientali che sociali, e istituiscano dei responsabili incaricati di occuparsi della catena di fornitura. Il provvedimento investe in prima battuta le grandi aziende, chiamate ad adeguarsi in tempi brevi, ma coinvolgerà progressivamente anche le realtà più piccole».
In questo momento le aziende tedesche sembrano particolarmente preoccupate che le nuove regole comportino un grande impegno burocratico, oltre che un ulteriore costo. Soprattutto temono di essere costretti a rivelare la composizione della propria catena di fornitura, che spesso rappresenta la principale arma competitiva sul mercato.
Gli aspetti positivi sono legati, invece, alla mentalità delle aziende, sempre più spinte e convinte che lavorare per una produzione sostenibile sia necessario.
Quali sono i punti che i produttori devono smarcare velocemente per continuare a vendere in Germania? Risponde ancora Junkert: «Se si hanno clienti tedeschi di grandi dimensioni, per cui si applicano fin da ora le nuove norme, è possibile che venga richiesto ai fornitori un report sui rischi a cui sono esposti e quali soluzioni hanno adottato per prevenirli. Come associazione abbiamo appena pubblicato un questionario in 20 punti, così da aiutare le società a individuare i punti importanti da tenere in considerazione».
È POSSIBILE TRACCIARE UNA FILIERA COME QUELLA DELLE CALZATURE COSÌ FRAMMENTATA?
È ben noto come la filiera produttiva delle calzature sia particolarmente frammentata per quantità di lavorazioni e luoghi di produzione. È realistico pensare di riuscire a tracciarla? Per Deborah Taylor è difficile, ma necessario poter tracciare la vita di un prodotto dal suo arrivo in negozio all’indietro fino agli allevamenti o alle materie prime di cui è costituito.
«In questo momento vi è molto rumore attorno al tema della sostenibilità, e questo rumore rischia di coprire le parole giuste e sostanziali che si dovrebbe considerare: una produzione e un consumo consapevole», dice la Taylor. La sostenibilità, del resto, non è una casella che può essere spuntata una volta per tutte, ma un cambio di mentalità che interroghi giorno dopo giorno le produzioni su come potrebbero essere meno impattanti su persone e ambiente.
«Un cambio di mentalità – continua Deborah Taylor – che verrà spinto anche dalle varie regolamentazioni che non solo Francia e Germania stanno adottando, ma che l'intera Europa sarà chiamata ad assumere. Penso, per esempio, al recente obbligo per le aziende di presentare un Corporate Sustainability Report in sostituzione del Non-financial Reporting che molte grandi organizzazioni hanno dovuto presentare fino a oggi. Se per ora questi regolamenti valgono solo per aziende di alcuni settori e con più di 500 dipendenti, nell'arco di 3 o 4 anni il provvedimento coinvolgerà anche le piccole e medie imprese in molti più ambiti, non solo moda».
Non ci si deve però spaventare. La legge non prevede che le aziende siano perfette, ma che siano trasparenti nel comunicare il punto in cui si trovano. Dovranno indicare dove risiedono i loro potenziali rischi, cosa possono fare per minimizzarli, e quali sono gli obbiettivi che si prefiggono. «È fondamentale iniziare ad agire in modo concreto, del resto il business di successo del futuro è quello che si prepara oggi».
SOSTENIBILITÀ IN ACCELERAZIONE
Si dice che la pandemia, la pressione sociale, i grandi brand e le nuove leggi abbiano impresso una forte accelerazione all’implementazione di azioni concrete rivolte alla sostenibilità. Verità o green-washing? «È senza dubbio vero – ritiene Massimo Brandellero -. Diciamo che chi non ha già iniziato a pensarci deve per forza partire ora, perché quello che abbiamo visto accadere negli ultimi 7 mesi non lo abbiamo visto accadere negli ultimi 7 anni. Si nota anche un livello più approfondito di richieste da parte delle aziende, a denotare come vi sia molta più qualità nell'approccio al tema».
Si torna alla tracciabilità per esemplificare il punto: se fino a qualche anno fa i brand ritenevano necessario tracciare la catena del valore per esercitare il controllo sui fornitori, oggi interpretano la trasparenza come uno stimolo per migliorare ogni aspetto produttivo e per poter comunicare, se non oggi nel prossimo futuro, con i propri clienti. Ciò implica che non è più solo l'ufficio incaricato di occuparsi di sostenibilità a essere coinvolto sulla questione, ma l'intera azienda.
QUALI PRIMI PASSI DEVE COMPIERE UN'AZIENDA PER DIVENIRE PIÙ SOSTENIBILE
«È la domanda chiave da cui siamo partiti con il progetto europeo. Abbiamo deciso di approntare una cassetta degli attrezzi e degli standard che ogni organizzazione potesse adottare per avviare un percorso finalizzato a produzioni più sostenibili», racconta Deborah Taylor. Questi i passi che lei individua come primari: compiere una valutazione chiara di ciò che si conosce e non si conosce del proprio flusso di lavoro, quindi strutturare una valutazione dei rischi e individuare i processi necessari a mitigarli. «A tutti suggerisco di non scappare dagli eventuali rischi individuati lungo la catena di fornitura, ma di lavorare insieme ai propri partner per minimizzarli, così da far crescere l'intera industria in termini di sostenibilità. Anche perché spesso le soluzioni si trovano combinando approcci differenti, non certo agendo come silos separati».
Per quanto riguarda l'approccio ai consumatori, per la Taylor è molto importante valutare attentamente le informazioni da trasmettere: «Il consumatore non desidera conoscere il nome dell’animale da cui deriva il pellame di una calzatura. Vuole essere certo che la catena di fornitura sia verificabile e verificata».
LA TRACCIABILITÀ NON DEVE PESARE SUI PRODUTTORI
Spesso e volentieri la tracciabilità viene perseguita con audit che impegnano le aziende produttrice sia a livello economico che di tempo. Una situazione poco sostenibile sul lungo periodo.
Per Deborah Taylor «gli standard e gli audit di certificazione di terze parti sono gli strumenti migliori di cui oggi disponiamo, ma rischiano di risultare impossibili da sostenere per le aziende che devono spendere risorse di denaro e tempo per gestire le differenti esigenze che ogni singolo marchio pretende. Il processo deve essere ottimizzato per alleviare la pressione sulle aziende. Con la mia fondazione, per esempio, abbiamo studiato una Transparency Dashboard dove diamo conto delle certificazioni che ogni azienda ha conseguito così che ogni brand possa accedervi e non duplicare le proprie richieste».
Un altro punto importante riguarda gli standard. Le grandi organizzazioni di certificazione, guidate da COTANCE, stanno lavorando per armonizzare gli standard, così da individuarne uno comune che risulti solido e attendibile: quali documenti è necessario scambiarsi, con quali modalità, con quali dati e in quale punto della catena di fornitura fornirlo. «Lo scopo è arrivare a definire un nuovo standard ISO specifico per la tracciabilità che allinei tutti i certificatori rispetto a un percorso condiviso».
QUALI GLI SVILUPPI FUTURI DELLA TRACCIABILITÀ
Massimo Brandellero non vuole fare previsioni da indovino, ma analizzare i movimenti già in atto per immaginare le future evoluzioni del tema tracciabilità: «Sarà necessario, e sta già accadendo, sviluppare tecnologie e sistemi per tracciare le filiere che siano collaborativi e possano scambiarsi informazioni così da evitare anche in questo ambito, come per gli audit, inutili duplicazioni. Sarà necessario ricavare dalle filiere dati qualitativi in grado di collegarsi e rimanere collegati ai prodotti. La tracciabilità, infatti, diventerà necessaria e funzionale anche per alcuni settori a cui oggi non molti pensano: nel crescente settore del noleggio di abiti e accessori, oppure nell’ambito del sempre più frequente ritiro di prodotti a fine vita da parte dei brand (se il prodotto porterà con sé tutte le informazioni riguardo i materiali utilizzati sarà più semplice individuare modalità di smaltimento o riciclo).
Chiude la riflessione Manfred Junkert: «Siamo nel mezzo di un processo di trasformazione che troverà le aziende preparate ad affrontare cambiamenti importanti. La crescente pressione della legislazione europea porterà a una maggior cooperazione fra le diverse associazioni di categoria che dovrà condurre all’individuazione di un sistema di classificazione dei vari aspetti della sostenibilità che permetta al consumatore di valutare con fiducia e facilità il valore sostenibile dei prodotti che acquista».